Nel cuore del quotidiano più semplice si nasconde spesso la materia viva del grande cinema. Dopo il successo alla Festa del Cinema di Roma, questa storia intima racconta il legame profondo tra Jenny e Álvaro, figlia e padre, uniti da un affetto istintivo che si rompe nel momento in cui Álvaro lascia la madre, e che viene messo alla prova quando la malattia impone una riconciliazione forzata.

Siamo davanti a una storia di affetti, in cui la precarietà è soprattutto emotiva. Il regista lavora per sottrazione, eliminando ogni orpello narrativo per lasciare spazio alla verità dei corpi, dei silenzi, dei gesti minimi. Una scelta stilistica che richiama il realismo poetico del primo Ken Loach, il rigore emotivo di Jean-Pierre e Luc Dardenne, o i toni trattenuti di Gianni Amelio in La tenerezza.
I personaggi sono semplici, ma straordinari: uomini e donne che portano il peso delle rinunce, ma anche una silenziosa dignità. In questo contesto, Sara Silvestro — vera rivelazione nel ruolo di Jenny — colpisce per la naturalezza con cui incarna la fragilità e la forza di un’adolescente spezzata. Ex agonista di nuoto nella vita reale, Silvestro porta in scena un corpo in tensione: simbolo perfetto di una giovane donna sospesa tra la fuga e il ritorno.
Al suo fianco, Edoardo Pesce dà vita a un Álvaro ruvido e vulnerabile, in linea con i suoi precedenti ruoli intensi in Dogman e Non sono un assassino. Con lui, Barbara Chichiarelli, già vista in Favolacce e Suburra, costruisce una madre sospesa tra stanchezza e affetto, confermando il suo talento.
La malattia non è solo svolta narrativa, ma anche metafora della necessità di guarigione, di affrontare la memoria, di ridare senso alla cura. Il film tocca corde simili a quelle di Aftersun o Leave No Trace, dove il legame tra padre e figlia si rivela imperfetto ma profondo, fatto di presenza più che di parole.
Questo racconto restituisce tutta la potenza del reale senza abbellimenti, lasciando emergere un’umanità, concreta, necessaria. Ci ricorda che, nelle case modeste, tra padre in difficoltà e una figlia che non riesce a perdonare, si gioca il senso più profondo del vivere: rimanere, quando sarebbe più facile andarsene e, soprattutto, perdonare.
Il talento di Stefano Chiantini è nel cogliere i valori più intimi nei rapporti famigliari. COME GOCCE D’ACQUA è di una sensibilità e purezza rara che rende il film una visione riconciliante e commovente.